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Nel libro “L’olivo e l’olivastro” di Vincenzo Consolo, l’albero d’olivo è un simbolo omerico, ed è contemporaneamente rappresentazione della natura selvaggia e della coltura, quindi dell’inciviltà e della civiltà. Qua un estratto di questo immaginario viaggio in Sicilia.

“Spossato, lacero, i polmoni pieni di salmastro, guadagna finalmente la spiaggia, avanza sopra un mondo solido, in mezzo ad alberi e arbusti. È l’uomo più solo sulla terra, senza un compagno, un oggetto l’uomo più spoglio e debole, in preda a smarrimento, panico in quel luogo estremo, sconosciuto, che come il mare può nascondere insidie, violenze. Ulisse ha toccato il punto più basso dell’impotenza umana, della vulnerabilità. Come una bestia ora, nuda e martoriata, trova riparo in una tana, tra un olivo e un olivastro (spuntano da uno stesso tronco questi due simboli del selvatico e del coltivato, del bestiale e dell’umano, spuntano come presagio d’una biforcazione di sentiero e di destino, della perdita di se, dell’annientamento dentro la natura e della salvezza in seno a un consorzio civile, una cultura), si nasconde sotto le foglie secche per passare la notte paurosa che incombe. È svegliato al mattino dalle voci, dalle grida gioiose e aggraziate di fanciulle, di Nausicaa e delle sue compagne. Esce dal riparo e si presenta a loro, il sesso schermato da una fronda, come per simbolica autocastrazione, per non allarmare le vergini, come umile supplice, dimesso.”

 

 

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